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10 minuti con…Alessandro Donadio e la Social Organization

14 Nov Posted by in 10 minuti con... | 2 comments

ale-donadioInauguro oggi una nuova rubrica all’interno del mio blog: sarà un salottino in cui ospiterò amici che ho apprezzato nel corso degli anni per la competenza sui media digitali nei rami della comunicazione, del marketing e del giornalismo. A loro farò domande secche su temi caldi nell’ambito della loro expertise, che possano arricchire sia chi mi legge che anche il sottoscritto.

Il primo incontro è con Alessandro Donadio, che avevo avuto il piacere di intervistare già nel 2013 per Intervistato.com. Alessandro è Social Organization Strategist, SocialHR consultant e antropologo delle “tribù organizzative”.

E’ un dato di fatto che in molti casi la causa del fallimento di una strategia B2B o B2C sui social media sia da ricercare nella scarsa integrazione tra chi i social li deve gestire e chi all’interno dell’organizzazione li deve invece alimentare o venirne alimentato, come per esempio il marketing o il product manager. Un altro caso è quello dei collaboratori che utilizzano i social media senza riflettere il dovuto sulle possibili implicazioni negative che ciò che condividono on-line potrebbero avere sul brand o sull’organizzazione a cui sono riconducibili.

E’ impensabile stare sui social se non sei social già a casa tua.

In realtà il concetto di Social Organization è molto più ampio e abbraccia tutta una serie di ambiti che servono a far funzionare meglio l’organizzazione, indipendentemente dalla presenza sui social media e che è comunque auspicabile per fare il salto di qualità.

Ecco quindi la chiacchierata che ho fatto con Alessandro per approfondire alcuni aspetti chiave che ho identificato.

 

Ciao Alessandro, tu hai scritto che “il management più che catturare e difendere il sapere deve operare per liberarlo al suo interno, farlo scorrere”. Che cosa intendi?

Sappiamo dalla letteratura ma anche dall’esperienza degli ultimi anni quanto sia difficile operare un knowledge gathering dal centro. Fare raccolta sistematica del sapere che nasce spesso come risposta a un problema operativo, ed è quindi situato ed informale, è quasi impossibile. È più utile invece generare le condizioni perché quelle pratiche, approcci, documenti, siano “conferiti” da chi li sta producendo, mentre li sta producendo. In questo senso parlo di piattaforma abilitante: tecnologica certo, ma anche di processo. Inserire i processi core nell’ambito di community di pratica per esempio è un modo. Mentre le persone sono attive a scambiare fra loro producono del knowledge flow che alimenta poi il knowledge stock dell’azienda. Per il management o per una funzione KM, laddove ci fosse, si tratterebbe quindi di mettere a disposizione processi e ambienti collaborativi alle persone. In questo senso dico: liberare.

 

Quale importanza ha il workplace per una social organization? Per workplace si intende solo quello fisico?

Nessun gruppo sociale può operare fuori da un “luogo” di riferimento. Un ambiente che è contesto dove operare ma anche in cui il gruppo si identifica. Marc Augé parlò di non luoghi come quegli spazi transitabili ma non abitabili dalle persone. L’azienda è luogo in questo senso, con una finalità primariamente operativa, ma che non sviluppa effetti se non “libera” anche quella sociale. Il workplace è certamente fisico, e nessuna declinazione di social organization può negare questo, ma è anche digitale oggi. Le persone sono già presenti in forma ibrida fisico-digitale, è il portato della contemporaneità. Nelle aziende questo dualismo deve cercare di diventare una esperienza unica, in cui le persone intervallano collaboration in luoghi sia fisico che digitali. Con un cliente stiamo lavorando su un progetto di Social Intranet in queste due dimensioni: luoghi collaborativi, di conversazione e scambio fisico e digitali coerenti e interagenti fra loro. Spero di raccontarti presto come sta andando.

 

Ci sono nuove figure professionali introdotte con la social organization?

Direi di si, intendendo ruoli ma anche più in generale competenze. Uno cruciale è certamente quello del community manager. Questo avrà ruolo centrale nell’abilitazione e messa a regime delle community interne. Competenze digitali, cognitive (collegate alla lettura e scrittura online) e attitudini sociali sono i pilastri di questo ruolo.

Una professione che dovrà presto essere internalizzata, anche se prima parzialmente rivisitata, è quella del data analyst. Da tempo nei progetti che seguo insieme a colleghi proponiamo una attività di listening delle community che capace di dare conto dei contenuti prodotti e dei contributori emergenti. Un conversational analyst che “passa” le conversazioni e riporta ad alcuni ruoli, l’HR in primis, il valore che nelle community viene prodotto.

Poi competenze generalizzate di copy ed editing, che dovranno essere skills commodity nel prossimo futuro.

Poi c’è la questione manageriale. Un ruolo di grande raccordo come il CDO (chief digital officer) è sempre più cruciale, anche se io tendo a dire che una funzione di SocialHR matura può fare questa attività di collegamento fra human e digital.

 

E’ possibile identificare delle metriche per valutare una social organization? Se si, di che tipo?

Questo è tema annoso in effetti. Delle metriche solide ad oggi non ci sono, ma devono essere individuate. Naturalmente essendo i social media in gioco in questa dinamica trasformativa, alcuni KPI possono collegarsi all’abbandono di alcuni media meno efficaci oggi, come l’e-mail. Credo però che i due ambiti di esplorazione in questo campo possano essere contenuti e persone, nel senso di trovare metriche che misurino la bontà e l’utilità dei contenuti prodotti nelle dinamiche di community, e i migliori contributor rispetto alle competenze che ho descritto sopra. In fondo alla funzione HR serve capire abbastanza in fretta che modello di talent si sta profilando nella social organization: certamente più emergente, situato (nel senso che si forma dentro le dinamiche dei processi core), più social anche, reputazionale. Ci sono delle idee, ma serve ora uno sforzo per costruire un setting di misurazione utile.

 

Quale è il ruolo della tecnologia all’interno della social organization?

E’ l’abilitante, l’opportunità che bussa alla porta. Modelli di organizzazioni più peer to peer, basate sul networking e sullo scambio professionale sono nella testa e nei libri di molti pensatori degli ultimi 20 anni. ora però i social media ci consegnano questa opportunità. Ma la tecnologia deve entrare nei ruoli e nei processi core. E questo è già più un tema di change management.

 

L’innovazione può avvenire in una organizzazione che non sia anche social?

Direi di si. Avviene continuamente, forse solo in perimetri più ristretti. Il potenziale social è quello di collegare molte più persone fra loro aumentando il potenziale di apporto divergente (tanto utile all’innovazione). Ma anche di collegare facilmente contenuti alle persone impegnate a innovare. E, non ultimo, a collegare l’interno con l’esterno dell’azienda: clienti, partner ed employees che ragionano insieme su soluzioni offrono al processo innovativo un buster ineguagliabile.

 

Social media policy per l‘organizzazione: solo per l’uso interno? Cosa pensi delle situazioni borderline, per esempio quelle che rischiano di invadere la sfera privata dei lavoratori?

Tema molto caldo anche questo. I social media ed il loro accesso così immediato semplice offrono tutto il potenziale di cui abbiamo detto, ma anche una esposizione mai sperimentata prima.

Serve sangue freddo, però. Non credo personalmente che delle mere regole possano tenere in sicurezza le aziende da tutto questo. Più un processo di education culturale forse, in cui l’obiettivo primo è quello di far crescere consapevolezza e senso di responsabilità.

A valle, o in parallelo, di questo una social media policy aiuta, ma senza il primo raggiungiamo un obiettivo parziale.

Sull’invasione della sfera privata tradisco una forte confusione. Non nego che questa sia necessaria ci mancherebbe, ma certo ne va ripensato il perimetro. I nostri “mondi” si stanno integrando velocemente, collegati fra loro da un ecosistema digitale che non fa molte distinzioni. In realtà ne facciamo sempre meno anche noi.

In fondo uno degli elementi del paradigma della social organization è quello di portare la persona, oltre il ruolo, dentro l’organizzazione. Forse ci può stare un ambito in cui l’organization entra in parte di quella sfera che prima avremmo detto privata. Servono regole di base, ma anche, e forse più, patti psicologici azienda-collaboratore più specifici a seconda della cultura della singola azienda e della disponibilità dei suoi employees.

 

 

Segnalo infine un evento per approfontire a 360 gradi tutti gli interrogativi sulla Social Organization: il 20 novembre a Milano ci sarà il Social Organization Day, organizzato proprio da Alessandro.

Alessandro Donadio è founder di E-nable e partner di Hitrea.

Profilo: Social Organization Strategist, SocialHR consultant, Social&digital enterprise addicted, Blogger, thinker…

Citazione preferita: “People need a place to meet each other, building themselves and their opportunities, looking to the future. I want to live in that place“.

Il suo blog personale è “Metaloghi organizzativi“.

 

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