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Velocità vs approfondimento: dove sta la notizia?

10 Apr Posted by in Uncategorized | 3 comments

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L’altro giorno, per prova, ho ripreso una classica notizia da boxetto morboso – intercettata sabato – e ho provato a raccontarla a modo mio. Per avere maggiore visibilità ho aspettato lunedì prima di pubblicarla. Ne ho però approfittato per creare uno Storify, arricchirlo con altre informazioni rispetto alla fonte e stimolare riflessioni di carattere etico.

La storia in questione è quella di Claire, la donna che ha fatto live tweeting del proprio parto.

Lunedì pomeriggio, come immaginavo, la notizia è stata ripresa anche da varie testate e portali, ma osserviamo in che modo.

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Il primo articolo in lingua italiana ad aggiungersi al mio – pubblicato poco dopo mezzogiorno – è quello di Valentina Spotti, dal titolo “Claire Diaz-Ortiz: la mamma che twitta il suo parto in diretta”. La descrizione è precisa e completa, corredata anche dai principali tweet e da diciture come “Il lieto evento seguito da oltre 300.000 follower” oppure “è a capo del team di social innovation al quartier generale di Twitter”. Il lettore ha tutte le informazioni per contestualizzare la protagonista della vicenda. Gli articoli che verranno pubblicati in seguito, secondo me, non raggiungono lo stesso livello qualitativo.

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Verso le 15 arriva il pezzo del Corriere, secondo me il peggiore in assoluto. Il titolo è “Il parto via Twitter di Claire”. I tweet non sono incorporati direttamente ma vengono visualizzati grazie a uno slideshow.

La narrazione non è male, ma contiene pessimi passaggi come “Un racconto anche criticato che le è valso 300 mila follower” oppure “L’hashtag non poteva che chiamarsi “#inlabor” (in travaglio) ed è valso all’autrice 333,000 follower, dimostrandosi alla pari dei cinguettii di molte celebrità“.

Anzitutto c’è un messaggio che arriva al lettore completamente distorto dall’associazione tra “tweet intimi” e “300 mila follower guadagnati”, peraltro allineato agli standard (bassi) dei boxetti morbosi in generale.

Inoltre, Claire E’ una celebrità e non ha bisogno di dimostrare alcunché.

Sembra che la giornalista che ha scritto il pezzo ignori di chi stia parlando, ma in realtà poi aggiunge “…lavorando per Twitter…“. Forse pensa che sia la stagista delle fotocopie, chissà (ammesso che tale ruolo esista in una società come Twitter). Invece, Claire è una dirigente (a capo di un’area strategica), una top user (la prima nel mondo a scrivere un libro su Twitter) e una early adopter (è l’utente n° 59.003 e sta su Twitter dal 12 dicembre 2006): non a caso io su Twitter seguo da tempo lei e non il fondatore Jack Dorsey.

Ma c’è di più: è fin troppo evidente che i 300 e passa mila follower di Claire non possono essere prevalentemente frutto dei tweet scritti il 5 aprile: una crescita simile (+374 mila follower) credo che l’abbia registrata solo l’account @pontifex tra l’11 e il 12 dicembre 2012, per rendere l’idea dell’enormità dell’affermazione.

Sarebbe bastato banalmente cercare per esempio su Wikipedia o su Google, no?

Oppure, sarebbe bastato usare un tool di analisi per scoprire che il suo account è sopra quota 300 mila da tre anni. Analizzando soltanto l’ultima settimana, si vede anche che ha avuto un incremento di circa 700 follower al giorno per tre giorni, ma cominciato il giorno prima della rottura delle acque.

Un pezzo del genere è inconcepibile, se pubblicato ben due giorni dopo l’evento: la scarsa conoscenza dell’argomento che si sta trattando (social media, internet) e la superficialità nell’approccio abbassano la qualità del pezzo e aggiungono disinformazione.

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Una curiosità: l’autrice nel 2009 scrisse “La moralità ai «tempi» di Twitter“, dove descriveva uno studio pubblicato da un gruppo di scienziati californiani. Ecco l’incipit:

Uno studio analizza l’attitudine del cervello a elaborare pensieri «etici» alla velocità dei nuovi media «sociali».

Ci vuole tempo, calma e spirito riflessivo per prendere decisioni giuste in situazioni che abbiano una valenza morale. Il che significa che nell’era di Facebook e di Twitter tutto è più difficile e si rischia di prendere delle cantonate in termini etici. Perché la velocità è nemica del senso morale, che ha bisogno per sua natura dei suoi tempi di decantazione”

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Dopo un’altra ora viene pubblicato l’articolo “Parto in diretta Twitter: la storia di Claire, tra esagerazione social e buonsenso” su Leonardo.it

E’ estremamente sintetico e parla genericamente di “una giovane argentina, che su Twitter risponde al nome di Claire“. Chi legge non ha nessun elemento per distinguerla dai restanti 41 milioni di abitanti dell’Argentina o dai 232 milioni di utenti attivi mensilmente su Twitter.

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Passa un’altra ora (siamo intorno alle 17) e si accoda anche Fanpage con ‘articolo “Claire, la prima donna a partorire in diretta su Twitter (FOTO)“. Incorpora e commenta la sequenza dei tweet principali. L’effetto finale è molto simile allo Storify reallizzato da me.

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Repubblica si prende invece un giorno in più e pubblica la notizia solo martedì, sotto il titolo “Dalla prima contrazione alla nascita: il parto è in diretta Twitter“. Claire viene identificata correttamente e nello slideshow vengono inseriti anche i tweet sopraggiunti nelle ultime 24 ore.

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Che cosa possiamo dedurne?

E’ ormai annoso il dilemma che contrappone velocità e accuratezza nel fare informazione.

E’ intuitivo che se scegliamo di prenderci il tempo necessario questo dovrà poi risultare giustificato dal valore aggiunto in termini di approfondimento, verifiche, contestualizzazione, concept grafico, ecc.

Se consideriamo la questione sotto forma di posizionamento, possiamo ricondurla a un quadrante entro il quale ci si sposta a seconda di fattori come tempestività e approfondimento.

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Il riquadro assolutamente da evitare è quello in basso a sinistra, quello dove io inserisco il poor journalism. In basso a destra colloco il cosiddetto churnalism, il giornalismo mordi-e-fuggi.

Long form journalismprecision journalism invece stanno nei riquadri superiori (prevalentemente in quello di destra, ma non necessariamente). Si tratta quindi di scegliere dove stare e mantenere coerentemente la posizione, imho.

crediti immagini

 

 

 

 

3 comments

  • Valentina Spotti ha detto:

    Grazie per la citazione, Roberto! Per dovere di cronaca devo dire che la fonte originale che avevo a disposizione (Huffington Post) aveva fatto un pezzo “da manuale”. Certo, poi dipende da quanto tempo hai a disposizione per fare le cose come si deve, andando a controllare sui vari link in uscita e tutto il resto. E, parlo per esperienza, a volte il tempo è veramente pochino. Nel caso di Claire, però, scambiarla per una perfetta sconosciuta che si è guadagnata i 15 minuti di notorietà con il live tweet del suo parto vuol dire avere poco “occhio” su Twitter: un utente che si chiama semplicemente “@claire” o era lì di fianco a Dorsey quando sono andati online nel 2006 oppure è una che ci lavora dentro… Immagino sia questione di conoscenza/utilizzo diretto del medium, per qualcosa che non sia fare il pezzo “di colore” quando c’è il giochino del giorno con gli hashtag…

    • roberto ha detto:

      Esatto, Valentina. Mi sa che quel giorno del 2006 si è registrata anche l’account @lucia 🙂
      Quando si è consapevoli di avere poco occhio o poca esperienza su un argomento, è buona norma chiedere a chi sa, in redazione o tra i propri contatti social (quest’ultimo caso è una ulteriore conferma della poca conoscenza)

  • […] Favini ha pubblicato sul suo blog – Myweb20 – una serie di interessanti riflessioni a proposito dell’ influenza sulla qualità del […]


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