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Case history: un disastro sui social media firmato Kenneth Cole

08 Feb Posted by in Uncategorized | 9 comments

Questa è una storia che da giorni mi ero ripromesso di raccontare: parla di un noto stilista americano e di una sciagurata gestione della comunicazione sui social media.

La storia è andata così.

Il signor Kenneth Cole, ritenendosi particolarmente furbo e spiritoso, pubblica un tweet molto particolare dal suo BlackBerry, usando l’account legato al suo brand.

Il tweet era il seguente (non metto il link perché tanto è stato cancellato):

In gergo questo si chiama hashtag hijacking: l’intenzione era quella di guadagnare visibilità utilizzando l’hashtag #Cairo, per promuovere la propria collezione primaverile.

Lo stesso hashtag infatti era (ed è tuttora) utilizzato per i tweet di diffusione degli avvenimenti drammatici in Egitto, dove milioni di persone oppresse erano in subbuglio e la gente moriva per le strade.

Tornando alla vicenda, “incomprensibilmente” una marea di persone senza il suo spirito dello humour si infuria, esprimendo profonda indignazione su Twitter e scrivendo post molto negativi sui rispettivi blog.
Solo nella prima ora si contano circa 1.500 retweet negativi.
La notizia fa rapidamente il giro del web e dei principali portali di informazione.
Nel giro di sole tre ore la vicenda diventa mainstream e viene riportata anche dall’Huffington Post.
A questo punto Kenneth Cole cancella il tweet della discordia e ne scrive un altro di scuse.
Le persone capiscono che si è trattato di una piccola svista e accettano le scuse.

Anzi, no.

Proseguono imperterriti come uno tsunami socialmediatico.
Allora Kenneth Cole pensa di pubblicare una frase di scuse anche sulla pagina Facebook del suo brand.
Questa volta le persone capiscono davvero che si è trattato soltanto di un malinteso e accettano le scuse.

Anzi, no.

Sulla pagina Facebook arrivano circa 500 commenti pieni di insulti pesanti, come si può vedere già dai primi tre (“Tu sei uno str….! Niente scuse”, “insensibile”, “bastardo”).
A questo punto Kenneth Cole sceglie di eclissarsi per far calmare le acque, tanto la gente dopo qualche ora si dimentica, si sa.

Anzi, no.

Le proteste continuano anche nei giorni successivi ed escono dai confini dei social media.
Il giorno dopo il fattaccio un burlone applica una decalcomania alla vetrina di uno dei negozi della catena: sull’adesivo è riportato fedelmente il tweet cancellato.

Un passante lo fotografa e lo pubblica su Flickr.

I commenti sono da leggere attentamente perché mostrano come i blogger che intervengono nella discussione (il primo è addirittura Jeremiah Owyang) incrociano le informazioni per verificare l’autenticità della foto; alla fine ne salteranno fuori altre e diventerà chiaro che non si tratta di elaborazioni con Photoshop.

Kenneth Cole è diventato ufficialmente uno zimbello dentro e fuori i social media: deve persino chiarire che la decalcomania non è opera sua ma che si tratta di uno scherzo ai suoi danni.
Lui che è uomo di spirito incassa con classe.

Non si scompone neanche quando – come spesso accade in situazioni simili – sui social media nascono parodie e account fake che si accaniscono pesantemente su di lui.

Questi non sono che pochissimi esempi: tantissimi altri ce ne sono per esempio qui, tutti ugualmente impietosi.

Chissà, magari Kenneth Cole avrà pensato che forse non saranno stati poi così tante le persone che hanno parlato male di lui sui social media.

Sbagliato.

Secondo Trendistic giovedì scorso c’è stato un periodo durante il quale lo 0,23% di tutti i tweets erano legati a Kenneth Cole.

Lo zero virgola ventitrè per cento. Di tutti i tweet.

Per curiosità sono andato a verificare e…beh, si, in effetti su Twitter c’è stato un lieve incremento delle citazioni del brand.

Boh, magari ne avranno parlato bene, no?

Nela parte sinistra si notano keywords come controversial, negative, Egypt, unmarketing, fail, mistake, superbowl (già, c’era il Superbowl) e soprattutto Groupon.

Groupon? E che c’entra? Ah, forse sono stati accumunati come esempi negativi da non seguire assolutamente, per via di questo spot che sfrutta la condizione di oppressione del popolo tibetano per pubblicizzare cibo a buon mercato. Un’altra perla da incorniciare.

Qualcuno ha anche fatto notare che il tweet iniziale era stato firmato dal CEO dell’azienda ma che le scuse erano rivolte da parte di tutto il team. Singolare, un bell’esempio di condivisione (delle colpe).

Forse però non si tratta di un tentativo maldestro e improvvisato: l’uso di un URL shortener con la chiave KCairo indica un’azione studiata a tavolino, probabilmente con “gli esperti del marketing“.

Fin qui ho scherzato anch’io, ma ora ridivento serio.

La strategia adottata da Kenneth Cole sui social media si è rivelata pessima e i casi sono due: ha sbagliato lui a non farsi consigliare da persone preparate oppure chi l’ha consigliato è un pazzo.

Il comportamento di Kenneth Cole è stato stupido, irresponsabile e vergognoso, a prescindere dal luogo e dalle modalità con cui si è manifestato. Il fatto che la vicenda si sia sviluppata essenzialmente sui social media ne ha solo amplificato la voce delle proteste, anche se a livelli impensabili.

Tra l’altro, Kenneth Cole è anche recidivo perché all’indomani dell’11 settembre disse questa frase:

Momenti importanti come questo sono un momento per riflettere … Per ricordarci, a volte, che non è importante solo ciò che si indossa, ma è anche importante essere consapevoli

L’immagine dei social media come un ambiente informale, dove tutti sono amici e si danno pacche sulle spalle non deve far pensare che ci si possa prendere più confidenze di quanto oseremmo di persona.

L’intelligenza e il rispetto per la sensibilità altrui non sono un optional, MAI.

Ora il signor Kenneth Cole ha una reputazione da ricostruire faticosamente, per sé e per il brand che porta il suo nome.

Un consiglio per il futuro, Mr. Cole:

Think before you tweet

 

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